VERSO LA FESTA DELLA MAMMA: “MAMMA, LA PAROLA PIÙ BELLA”

 

Nonostante il tentativo di cancellare le parole mamma e papà, esse restano preziose nella vita d’ogni persona

«La parola più bella sulle labbra del genere umano è “Madre”, e la più bella invocazione è “Madre mia”. Ogni cosa in natura parla della madre».

Sarebbe stato bello trovare scritti i versi di questa poesia di Gibran Khalil Gibran sull’opuscolo delle raccomandazioni della British Medical Association. Invece, tra le righe di quelle note comportamentali non v’è traccia di sentimenti bensì di un’indicazione solo all’apparenza strana: a tutti gli associati si raccomanda di definire le gestanti non più madri in attesa, ma persone in gravidanza. Insomma, nessuno spazio alle mamme in ricette, referti e documenti sanitari: per evitare qualsivoglia tipo di discriminazione nei riguardi dei transgender si sollecita il ricorso ad una terminologia neutra, col risultato di discriminare le madri, ridotte ad esseri indeterminati. Sembra avverarsi lo scenario dello scrittore Aldous Huxley, pure lui britannico, che nel 1932, nel suo romanzo “Un mondo nuovo”, descriveva un mondo futuro abitato da fanciulli prodotti in fabbriche, imbottigliati su catene di montaggio.

Era uno scenario volutamente e sarcasticamente fantascientifico, che oggi sembra avverarsi: padri e madri sono ridotti a dati culturali, dunque modificabili, come dimostra lo spazio conquistato dall’idea di relazioni fondate sulla rimozione della naturale ed essenziale differenza fertile, che invece è indispensabile nella partita della vita. Anche in termini giuridici una prospettiva contraria ai diritti umani, in contrasto con le Carte internazionali che, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, citano la famiglia quale «nucleo naturale e fondamentale della società» e riconoscono che la «maternità è una funzione sociale».

È l’avanzata di un conservatorismo antimoderno. Bonificare, eliminare: un’ansia purificatrice avvolge le nostre città come un blob gelatinoso che tutto appiattisce. Si propone di cancellare la traccia del primo contatto tra il nascituro ed i suoi genitori, segnata da numeri che mirano a dissimulare le loro specificità affettive.

C’è una sorta di cupio dissolvi nel voler cancellare quelle parole bellissime, mamma e papà, che restano preziose nella vita d’ogni persona. Difenderle non vuol dire far ricorso ad uno strumento di offesa: per ognuno, per ogni persona, c’è e deve esserci sempre rispetto, accoglienza e solidarietà. Semplicemente si intende chiarire che, come dice Papa Francesco, è la famiglia il vero, straordinario «motore del mondo e della storia», il modello di relazioni fondate sull’amore e sulla capacità di generare. Questa realtà non può essere cancellata dal dizionario degli affetti e per svelare il nonsenso di tante incursioni lessicali basta rileggere, di Gianni Rodari, la “Filastrocca delle parole”:

«Si faccia avanti chi ne vuole.

Di parole ho la testa piena,

come dentro “la luna” e “la balena”.

Ma le più belle che ho nel cuore,

le sento battere: “mamma”, “amore”».

(Mons. Bertolone, da it.zenit.org 23-04-2017)

 

Articolo pubblicato il 09/05/2017

 


DONNE E UOMINI PER LA VITA NEL SOLCO DI SANTA TERESA DI CALCUTTA

39a Giornata Nazionale per la vita - 5 febbraio 2017

Messaggio del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana

Il coraggio di sognare con Dio. Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sogni dei bambini e dei giovani, dei malati e degli anziani, delle famiglie e delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini di fronte alle scelte importanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osare e agire! Quando il Papa commenta la Parola di Dio al mattino o quando tiene discorsi nei vari viaggi apostolici, non manca di incoraggiare a sognare in grande. È nota la sua devozione a san Giuseppe, che considera uomo del “sogno” (Cfr. Mt 1,20.24). Quando si rivolge alle famiglie, ricorda loro che il sogno di Dio “continua a realizzarsi nei sogni di molte coppie che hanno il coraggio di fare della loro vita una famiglia; il coraggio di sognare con Lui, il coraggio di costruire con Lui, il coraggio di giocarci con Lui questa storia, di costruire un mondo dove nessuno si senta solo, nessuno si senta superfluo o senza un posto” ( PAPA FRANCESCO, Discorso alla festa delle famiglie, Filadelfia 26 settembre 2015.).

I bambini e i nonni, il futuro e la memoria. Per Papa Francesco il sogno di Dio si realizza nella storia con la cura dei bambini e dei nonni. I bambini “sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza”; i nonni “sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti” (Ibidem ). Una tale cura esige lo sforzo di resistere alle sirene di un’economia irresponsabile, che genera guerra e morte. Educare alla vita significa entrare in una rivoluzione civile che guarisce dalla cultura dello scarto, dalla logica della denatalità, dal crollo demografico, favorendo la difesa di ogni persona umana dallo sbocciare della vita fino al suo termine naturale. È ciò che ripete ancora oggi Santa Teresa di Calcutta con il famoso discorso pronunciato in occasione del premio Nobel 1979: “Facciamo che ogni singolo bambino sia desiderato”; è ciò che continua a cantare con l’inno alla vita: “La vita è bellezza, ammirala. La vita è un’opportunità, coglila. La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. … La vita è la vita, difendila”.

Con Madre Teresa. La Santa degli ultimi di Calcutta ci insegna ad accogliere il grido di Gesù in croce: “Nel suo ‘Ho sete’ (Gv 19,28) possiamo sentire la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace” (PAPA FRANCESCO, DISCORSO, ASSISI 20 SETTEMBRE 2016). Gesù è l’Agnello immolato e vittorioso: da Lui sgorga un “fiume di vita” (Ap 22,1.2), cui attingono le storie di donne e uomini per la vita nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata religiosa e secolare. Com’è bello sognare con le nuove generazioni una Chiesa e un Paese capaci di apprezzare e sostenere storie di amore esemplari e umanissime, aperte a ogni vita, accolta come dono sacro di Dio anche quando al suo tramonto va incontro ad atroci sofferenze; solchi fecondi e accoglienti verso tutti, residenti e immigrati. Un tale stile di vita ha un sapore mariano, vissuto come “partecipazione alla feconda opera di Dio, e ciascuno è per l’altro una permanente provocazione dello Spirito. I due sono tra loro riflessi dell’amore divino che conforta con la parola, lo sguardo, l’aiuto, la carezza, l’abbraccio” (PAPA FRANCESCO, Esortazione apostolica Amoris Laetitia, 321).

Articolo pubblicato il 05/02/2017

 

 


 

 

SETTIMANA DI PREGHIERA PER L'UNITA' DEI CRISTIANI 18-25 GENNAIO 2017

“L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione (cf. 2 Cor 5, 14-20)”

Il motto biblico scelto è quanto mai felice in questo quinto Centenario della Riforma protestante, avviata da Martin Lutero in Germania. Nell’Introduzione teologico – pastorale al tema, stilata dal Gruppo locale tedesco insieme alla Commissione internazionale, si sottolinea che al comitato preparatorio è apparso subito chiaro che i materiali per la Settimana avrebbero dovuto avere due accenti: da un lato, la “celebrazione dell’amore e della grazia di Dio”, in particolare mettendo in rilievo quella “giustificazione per sola grazia” che è stata ed è al centro della teologia delle Chiese della Riforma.

Dall’altro, un accento “penitenziale”, nel riconoscimento delle profonde divisioni di cui ha sofferto la Chiesa in seguito all’evento del 1517, offrendo al tempo stesso l’opportunità di fare ulteriori passi verso la riconciliazione. L’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani scrive: “Per mezzo di Cristo abbiamo anche avuto accesso, mediante la fede, a questa grazia nella quale rimaniamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio” (Rm 5, 2) e san Giovanni Crisostomo commenta: “Nota come Paolo precisa sempre tutti e due gli aspetti, ciò che viene da Cristo e ciò che viene da noi. Solo che da Cristo ci vengono molte e svariate cose: è morto per noi, ci ha riconciliati, ci ha dato accesso e ci ha comunicato un’ineffabile grazia; per parte nostra invece ci mettiamo solo la fede.” (Omelie sulla Lettera ai Romani 9,2-3).

Il fatto che i cristiani possano ricordare insieme, oggi, un evento del passato che ha diviso i cristiani in occidente con un senso di speranza e ponendo l’accento su Gesù Cristo e la sua opera di riconciliazione è un “notevole risultato raggiunto grazie a cinquant’anni di dialogo ecumenico. Anche le chiese tedesche, dopo un dibattito ampio – e “talvolta difficile” – hanno abbracciato questa prospettiva, quella di una commemorazione ecumenica che sia una celebrazione di Cristo.

È importante sottolineare che, così come nell’espressione “l’amore di Cristo” si tratta non del nostro amore per Cristo, ma dell’amore che Cristo ha avuto e ha per noi, che si è manifestato nella sua morte per tutti, la riconciliazione verso cui siamo spinti è in primo luogo quella che Dio ci offre in Cristo: “Dio ha riconciliato il mondo con sé per mezzo di Cristo” (v. 19) e ha fatto di noi gli “ambasciatori” di questa riconciliazione, il cui incarico è quello di supplicare “da parte di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. La riconciliazione prima di essere lo sforzo umano di credenti che cercano di superare le divisioni che esistono fra loro, è un dono di Dio. Proprio vent’anni fa si teneva a Graz, in Austria, la 2° Assemblea ecumenica europea sul tema “Riconciliazione, dono di Dio e sorgente di vita nuova”. Nel messaggio finale le chiese europee affermavano: “Vogliamo vivere il dono di Dio della riconciliazione… Se saremo guidati da questo dono nella vita quotidiana, quotidiana, nella vita delle nostre chiese e nella vita del nostro continente, potremo promuovere l’unità della chiesa e dell’umanità”.

Nella misura in cui ci lasciamo riconciliare con Dio in Cristo potremo dunque non solo compiere passi importanti di riconciliazione tra le chiese divise, ma diventare testimoni della riconciliazione in un mondo che, si legge ancora nell’Introduzione alla Settimana di preghiera, “ha bisogno di ministri di riconciliazione, che abbattano le barriere, costruiscano ponti, facciano la pace e aprano le porte a nuovi stili di vita nel nome di colui che ci ha riconciliati con Dio, Gesù Cristo”. Come esempi concreti di questo “ministero di riconciliazione”, le Chiese tedesche ricordano l’ospitalità offerta a tanti rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan, dall’Eritrea e da altri paesi; si può anche ricordare quanto operato da Papa Francesco e dal Patriarca ecumenico Bartolomeo per aiutare le persone che sono forzate a vivere nelle “periferie esistenziali” della società a causa di situazioni di ingiustizia e di violenza. Anche in Italia siamo grati al Signore per il progetto ecumenico dei “corridoi umanitari”, inaugurato nel 2016 grazie agli sforzi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, della Comunità di Sant’Egidio e della Tavola valdese, e che entro la fine del 2017 porterà in Italia, in tutta sicurezza, mille richiedenti asilo individuati tra soggetti particolarmente vulnerabili. Che questa Settimana di preghiera sia l’occasione per pregare per questo e altri progetti ecumenici in cui sono coinvolti protestanti, cattolici e ortodossi, e per l’avanzamento della comune testimonianza dei cristiani alla riconciliazione che Dio ci ha donato in Cristo.

 

Articolo pubblicato il 21/01/2017


 


 

MIGRANTI MINORENNI, VULNERABILI E SENZA VOCE

15 gennaio 2017 - 103.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

“Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce” è il tema scelto da Papa Francesco

Bambini avviati nel giro della prostituzione o della pornografia, resi schiavi dal lavoro minorile o arruolati come soldati, coinvolti in traffici di droga e altre forme di delinquenza, forzati alla fuga da conflitti e persecuzioni. “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare”.

Bergoglio riverbera il severo monito di Cristo scagliandosi contro la “gente senza scrupoli” che oggi sfrutta bambini e bambine “tre volte indifesi perché minori, perché stranieri e perché inermi”.

Nel suo Messaggio chiede di sradicare alla radice, cioè agendo nei Paesi d’origine, le cause del fenomeno migratorio che ormai ha assunto “le dimensioni di una drammatica questione mondiale”. Poi lancia un accorato appello affinché si cerchino e si adottino “soluzioni durature” per la questione dei minori migranti, soprattutto quelli soli, “forzati a vivere lontani dalla loro terra d’origine e separati dagli affetti familiari”, ed esorta a spezzare la rete di abusi e sfruttamento la cui “spinta più potente” è data dalla “domanda”. “Se non si trova il modo di intervenire con maggiore rigore ed efficacia nei confronti degli approfittatori, non potranno essere fermate le molteplici forme di schiavitù di cui sono vittime i minori”, afferma il Pontefice.

Stigmatizza quindi “la corsa sfrenata verso guadagni rapidi e facili” che “comporta lo sviluppo di aberranti piaghe come il traffico di bambini, lo sfruttamento e l’abuso di minori”.

“L’età infantile, per la sua particolare delicatezza, ha delle esigenze uniche e irrinunciabili”. Anzitutto “il diritto ad un ambiente familiare sano e protetto dove poter crescere sotto la guida e l’esempio di un papà e di una mamma”; poi “il diritto-dovere a ricevere un’educazione adeguata, principalmente nella famiglia e anche nella scuola, dove i fanciulli possano crescere come persone e protagonisti del futuro proprio e della rispettiva nazione”. Invece, ancora oggi, in molte zone del mondo, “leggere, scrivere e fare i calcoli più elementari è un privilegio per pochi”, come lo è pure “giocare” e “fare attività ricreative”, insomma “essere bambini”.

Questi piccoli migranti sono dunque “invisibili e senza voce”: “La precarietà li priva di documenti, l’assenza di adulti che li accompagnano impedisce che la loro voce si alzi e si faccia sentire”. In tal modo “finiscono facilmente nei livelli più bassi del degrado umano, dove illegalità e violenza bruciano in una fiammata il futuro di troppi innocenti, mentre la rete dell’abuso dei minori è dura da spezzare”.

Come rispondere a tale realtà? Anzitutto puntando alla protezione e alla difesa perché “questi ragazzi e ragazze finiscono spesso in strada abbandonati a sé stessi e preda di sfruttatori senza scrupoli che, più di qualche volta, li trasformano in oggetto di violenza fisica, morale e sessuale”.

Del resto, “la linea di demarcazione tra migrazione e traffico può farsi a volte molto sottile”. Molti sono i fattori che contribuiscono a creare uno stato di vulnerabilità nei migranti, specie se minori: “l’indigenza e la carenza di mezzi di sopravvivenza – cui si aggiungono aspettative irreali indotte dai media –; il basso livello di alfabetizzazione; l’ignoranza delle leggi, della cultura e spesso della lingua dei Paesi ospitanti”.

“Tutto ciò li rende dipendenti fisicamente e psicologicamente”. Pertanto è necessario che gli immigrati collaborino con le comunità che li accolgono in maniera più efficace ed incisiva, non solo scambiando informazioni, ma anche intensificando “reti capaci di assicurare interventi tempestivi e capillari”.

In secondo luogo, bisogna lavorare per l’integrazione dei bambini e dei ragazzi migranti che “dipendono in tutto dalla comunità degli adulti”. “Molto spesso, la scarsità di risorse finanziarie diventa impedimento all’adozione di adeguate politiche di accoglienza, di assistenza e di inclusione”. Di conseguenza, “invece di favorire l’inserimento sociale dei minori migranti, o programmi di rimpatrio sicuro e assistito, si cerca solo di impedire il loro ingresso, favorendo così il ricorso a reti illegali; oppure essi vengono rimandati nel Paese d’origine senza assicurarsi che ciò corrisponda al loro effettivo ‘interesse superiore’”.

La condizione si aggrava quando i minori si trovano “in stato di irregolarità” o “vengono assoldati dalla criminalità organizzata”. “In tali casi il diritto degli Stati a gestire i flussi migratori e a salvaguardare il bene comune nazionale deve coniugarsi con il dovere di risolvere e di regolarizzare la posizione dei migranti minorenni, nel pieno rispetto della loro dignità e cercando di andare incontro alle loro esigenze, quando sono soli, ma anche a quelle dei loro genitori, per il bene dell’intero nucleo familiare”.

Il primo passo da compiere è “l’impegno dell’intera Comunità internazionale ad estinguere i conflitti e le violenze che costringono le persone alla fuga”. Inoltre, “si impone una visione lungimirante, capace di prevedere programmi adeguati per le aree colpite da più gravi ingiustizie e instabilità, affinché a tutti sia garantito l’accesso allo sviluppo autentico, che promuova il bene di bambini e bambine, speranze dell’umanità”.

In ultimo, il Papa si rivolge ai cristiani incitandoli ad essere “consapevoli che il fenomeno migratorio non è avulso dalla storia della salvezza, anzi, ne fa parte”. Tale fenomeno è, in tal senso, “un segno dei tempi” che “parla dell’opera provvidenziale di Dio nella storia e nella comunità̀ umana in vista della comunione universale”. La Chiesa, pertanto, “pur senza misconoscere le problematiche e, spesso, i drammi e le tragedie delle migrazioni, come pure le difficoltà connesse all’accoglienza dignitosa di queste persone”, incoraggia “a riconoscere il disegno di Dio anche in questo fenomeno, con la certezza che nessuno è straniero nella comunità̀ cristiana, che abbraccia ogni nazione, razza, popolo e lingua”.

“Ognuno è prezioso – rimarca Francesco – le persone sono più̀ importanti delle cose e il valore di ogni istituzione si misura sul modo in cui tratta la vita e la dignità̀ dell’essere umano, soprattutto in condizioni di vulnerabilità̀”. Come nel caso dei minori migranti, appunto.

 Articolo pubblicato 15/01/2017


 


 

IL BEATO PAVONI NELL’ALBO DEI SANTI

 

Lodovico Pavoni nasce a Brescia l´11 settembre 1784 da genitori nobili e benestanti che lo educano cristianamente, evitandogli il pericolo di diventare il “giovin signore” di pariniana memoria.

Egli si rivela subito un ragazzo vivace e geniale, dotato di buona intelligenza, aperto a molti interessi (pittura, caccia, equitazione, meccanica…), sensibile ai problemi sociali.

Ordinato sacerdote nel 1807, si dedica subito ad un´intensa attività catechetica, fondando presto un suo Oratorio per l’educazione cristiana dei ragazzi più poveri, precorrendo i moderni centri educativi diurni e l’associazionismo giovanile.

Nel 1812 il vescovo Gabrio Nava lo nomina suo segretario, pur concedendogli di continuare la direzione dell’Oratorio, divenuto assai fiorente.

Nel 1818 lo nomina Canonico del Duomo e lo autorizza a dedicarsi interamente alla fondazione di un “privato Istituto di beneficenza” con annesso “Collegio d’arti”, che dal 1821 si chiamerà “Pio Istituto S. Barnaba”, per adolescenti e giovani poveri o abbandonati, ai quali in seguito si aggiunge una sezione di sordomuti.

Nei trent’anni che seguono, Lodovico Pavoni

  • sviluppa un suo “metodo educativo”, che lo pone all´avanguardia dei pedagogisti più illuminati dell´800 (ragionevolezza, amore, prevenzione, centralità della fede, importanza del lavoro: elementi che verranno ripresi e sviluppati da don Bosco);

  • organizza un modello di istruzione e di avviamento al lavoro che prelude alle attuali scuole professionali;

  • dà inizio ad una fiorente attività tipografica ed editoriale, precorrendo l’apostolato contemporaneo dei mass media;

  • introduce nel mondo del lavoro riforme di assoluta novità, anticipando di mezzo secolo la dottrina sociale della “Rerum Novarum” (dignità del lavoro, salario familiare, assistenza nelle malattie, licenziamento solo per giusta causa e con preavviso, partecipazione del lavoratore agli utili di azienda);

  • fonda, infine, la Congregazione dei Figli di Maria Immacolata (Pavoniani), che appare così audace e nuova (i “frati-operai”) da lasciare a lungo perplesse autorità civili e religiose (sacerdoti e religiosi laici collaborano “alla pari” come educatori della fede, come maestri d´arte e di umanità).

Lodovico Pavoni muore il 1° aprile 1849 a Saiano, vittima eroica del suo prodigarsi per portare in salvo i suoi ragazzi dal pericolo dei combattimenti per l´insurrezione dei Bresciani contro gli Austriaci (le Dieci Giornate di Brescia).

La Chiesa ha riconosciuto l’eroicità delle sue virtù, lo ha proposto come modello di vita cristiana il 5 giugno 1947 e lo ha beatificato il 14 aprile 2002. Domenica 16 ottobre 2016 Papa Francesco presiederà a Roma il rito di canonizzazione.

Per maggiori informazioni visitate il sito www.lodovicopavoni.it

 

Articolo pubblicato il 15/10/2016


PREGHIERA DEI GENITORI

PER AFFIDARE I FIGLI

A S. LODOVICO PAVONI

 

S. Lodovico Pavoni,
tu, che il Signore Gesù ha chiamato a prendersi cura

dei ragazzi e dei giovani,
guida e sostieni la nostra preghiera.

Noi affidiamo con fiducia alle tue mani di padre
il presente e il futuro delle nostre figlie e dei nostri figli.
Si stanno aprendo alla vita
e noi sogniamo per loro tante cose belle:
li vorremmo felici, riusciti, al riparo da ogni difficoltà…
ma non si diventa adulti senza fatica.

La tua pazienza di educatore e la tua tenera fermezza
possano accompagnare noi e loro
quando la strada si fa oscura.
Veglia sempre su di loro, incoraggiali nel cammino
e chiedi per noi un cuore pieno di fede,
disponibile a lasciare spazio anche ai sogni di Dio
sui “nostri” figli, che sono prima di tutto “suoi”.

Resta al nostro fianco anche ora, mentre con te
e con Maria Immacolata, “nostra cara madre”,
rivolgiamo questa preghiera al Signore Gesù
che ha scelto di vivere
tra gli affetti e le tensioni della famiglia di Nazaret.


Amen.


 

 


 

PAPA FRANCESCO: C'È UNA NUOVA «OPERA DI MISERICORDIA», LA «CURA DELLA CASA COMUNE» 

Fonte SIR

Papa Francesco invita i cattolici a compiere una nuova «opera di misericordia» verso il Creato cominciando a pentirsi del «male che stiamo facendo alla nostra casa comune» e «dopo un serio esame di coscienza» confessare «i nostri peccati contro il Creatore, contro il creato, contro i nostri fratelli e le nostre sorelle». 

E’ il «gesto» chiesto da Francesco nel Messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato che la Chiesa cattolica – in pieno Giubileo – celebra oggi, 1 settembre, in unione con i fratelli e le sorelle ortodossi e con l’adesione di altre Chiese e comunità cristiane. Il Papa cita nel Messaggio il Patriarca ecumenico di Costantinopoli e il suo predecessore Dimitrios che «per molti anni si sono pronunciati costantemente contro il peccato di procurare danni al creato, attirando l’attenzione sulla crisi morale e spirituale che sta alla base dei problemi ambientali e del degrado». «Di fronte a quello che sta accadendo alla nostra casa possa il Giubileo della Misericordia richiamare i fedeli cristiani ad una profonda conversione interiore». Il Papa invita a «cercare la misericordia di Dio per i peccati contro il creato che finora non abbiamo saputo riconoscere e confessare; e impegnandoci a compiere passi concreti sulla strada della conversione ecologica che richiede una chiara presa di coscienza della nostra responsabilità nei confronti di noi stessi, del prossimo e del creatore».

Il Messaggio si conclude con l’indicazione ai cattolici di compiere una «nuova opera di misericordia» verso il Creato: «spirituale» – suggerisce il Papa – che si può realizzare fermandosi in «contemplazione riconoscente del mondo» e «corporale», attuando invece «semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo» per «costruire un mondo migliore». «Mi permetto di proporre un complemento ai due tradizionali elenchi di sette opere di misericordia – precisa Francesco -, aggiungendo a ciascuno la cura della casa comune».

«La terra grida» e «non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici». Il Papa invita a fare un esame di coscienza «riconoscendo i ostri peccati verso il creato, i poveri e le future generazioni» da associare però a «un fermo proposito di cambiare vita». E questo deve tradursi in atteggiamenti e comportamenti concreti più rispettosi del creato».

A riguardo Francesco indica, quasi come una sorta di decalogo, una serie di «gesti» concreti da compiere nel rispetto per l’ambiente:
«Fare un uso oculato della plastica e della carta, non sprecare acqua, cibo ed energia elettrica, differenziare i rifiuti, trattare con cura gli esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico e condividere un medesimo veicolo tra più persone». E conclude: «Non dobbiamo credere che questi sforzi siano troppo piccoli per migliorare il mondo. Tali azioni provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente e incoraggiano ad uno stile profetico e contemplativo, capaci di gioire profondamente senza essere ossessionati dal consumo». 

Plauso di Papa Francesco alle decisioni prese dai governi del mondo con l’adozione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e l’Accordo sui cambiamenti climatici. Ma ora questi impegni, esorta il Papa, devono essere rispettati. Il Messaggio di Francesco contiene anche un forte appello ai governi: «La protezione della casa comune richiede un crescente consenso politico. In tal senso, è motivo di soddisfazione che a settembre 2015 i Paesi del mondo abbiano adottato gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile e che, a dicembre 2015, abbiano approvato l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che si pone l’impegnativo ma fondamentale obiettivo di contenere l’aumento della temperatura globale. Ora i Governi devono fare responsabilmente la loro parte e tocca ai cittadini esigere che questo avvenga, anzi che si miri a obiettivi sempre più ambiziosi».

 

Articolo pubblicato il 02/09/2016

 


 

SOPPORTARE PAZIENTEMENTE LE PERSONE MOLESTE: DIFFICILE MA NECESSARIO

di Maria Cristina Corvo [Fonte: www.intemirifugio.it]

“Senti Cri, ma tu cosa pensi del fatto di dover sopportare pazientemente le persone moleste?”. Oramai saranno passati un paio di mesi da quando, una mattina, accendendo il cellulare, ho letto questo messaggio su WhatsApp. Un paio di mesi in cui ho tatticamente rimandato una risposta, per me difficile da dare. Il fatto è che io faccio una gran fatica a sopportare i molesti. Rimango sempre ammirata quando vedo qualcuno che, di fronte a persone irritanti ed antipatiche, reagiscono con la santa pazienza (e qui il termine “santa” ci sta davvero bene). Anzi: più che ammirata, ne rimango affascinata. Il motivo è che percepisco che intorno alla pazienza c’è un grande potere: quello di far germogliare anche le pietre (a condizione di saper aspettare, ovviamente).

“Con il tempo e la pazienza, ogni foglia di gelso diventa seta”, diceva Confucio. Pazientare, attendere, aspettare… azioni misteriose in una società fondata sui sughi pronti, sulle ricette di torte veloci e sulle cene surgelate. “Sopportare pazientemente le persone moleste”; sorprendentemente attuale questa sesta opera di misericordia spirituale. Oggi, infatti, ci si è messa anche la rete a complicare i nostri già difficili tentativi di sopportazione. Pure in internet bisogna sopportare presenze inopportune, fastidiose, addirittura insopportabili. Non bastavano i parenti, i vicini di casa, i colleghi di lavoro… Oggi cento pensieri su questo argomento, mi frullano in testa.

Il primo è un dubbio: può succedere che non sia l’altro ad essere un molesto, ma che piuttosto siano gli ospiti inquieti dentro di me a farmelo sentire tale? Il secondo è un’intuizione: ho la netta sensazione che la pazienza sia molto svalutata perché frequentemente scambiata per rassegnazione o per adattamento al dolore. Sul primo dubbio non mi ci soffermo perché ci vorrebbero milioni di pagine per analizzare tutte le sfumature autodistruttive del nostro mondo interiore, abilissime ad ergere muri di insofferenza tra noi e gli altri. Sulla seconda intuizione invece, mi ci butto a capofitto. Mi piace molto l’idea che la pazienza sia una virtù attiva che ci rende, non tanto capaci di sopportare, quanto di attendere. Paziente è colui che non si lascia vincere dal fastidio o dall’irritazione, ma sceglie come reagire. “Sopportare pazientemente” non significa subire passivamente l’odioso di turno cercando di trattenersi dallo strozzarlo (anche se capisco che l’idea ci possa sfiorare), quanto controllare le nostre reazioni e mantenere la pace nella mente (forse san Francesco ci avrebbe raccontato la Perfetta Letizia). Controllare le reazioni a qual fine?

Quando siamo impazienti siamo bloccati all’immediato, reagiamo a quel che è appena accaduto e diventiamo vittime o della sconforto (e ci si dispera) o della rabbia (e si aggredisce). Le conseguenze sono comunque sempre distruttive e ci lasciano una scia di rapporti rovinati e/o di rimorsi dolorosi. La pazienza, invece, ci dà la flessibilità ed il potere di non diventare vittime passive delle circostanze. Ecco perché si dice di “sopportare pazientemente” e non di “sopportare con rassegnazione”. In tutto questo movimento di mente e di cuore, la tenacia è essenziale per allenarci a pensare in modo chiaro, rispondendo costruttivamente alle difficoltà ed alle offese. Ed è proprio questo stile “paziente” che ci permetterà poi di esserlo anche con noi stessi. Perché anche noi possiamo diventare molesti. Tutti possiamo sbagliare, danneggiare gli altri, provocare irritazione e nervosismi, spesso senza volerlo. È allora che la pazienza diventerà la nostra salvezza perché saprà attenderci, concedendoci il tempo per correggerci. Tutti abbiamo reciprocamente bisogno di perdono e pazienza, per rinascere e ricominciare.

Ma c’è un terzo ed ultimo pensiero (che per anni ho cacciato dalla mia mente come una mosca fastidiosa) con cui voglio finire. Un’intuizione troppo difficile da accettare. Eppure è arrivato il momento (almeno per me) di farci i conti. Il pensiero è questo: ma non sarà che le “persone moleste” possono essere anche un regalo della vita? Lo so, l’ho detta grossa. Me ne rendo conto sul serio, ve lo assicuro. Ma procediamo pazientemente. Il Dalai Lama ha detto: “Coloro che ci fanno del male sono in un certo senso maestri di pazienza. Queste persone ci insegnano qualcosa che non potremmo mai imparare unicamente ascoltando qualcuno, per quanto saggio o santo possa essere”.

Non è possibile, allora, che siano proprio le “persone o le situazioni moleste” a concimare meglio il nostro albero della pazienza? L’incontro con questi irritanti figli di Dio, non può essere un’opportunità per avvicinarci alla pazienza di Dio che perdona fino a settanta volte sette, in attesa del nostro meglio? Nella Bibbia la parola “sopportazione” significa restare in piedi di fronte a qualcuno o a qualcosa, resistendo all’urto con il coraggio della pazienza. È l’attitudine ad essere forti di fronte alle avversità. Ecco perché nella Bibbia l’attitudine a sopportare è propriamente di Dio. Egli «ha sopportato con grande magnanimità gente meritevole di collera, pronta per la perdizione. E questo, per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso gente meritevole di misericordia, da lui predisposta alla gloria» (Rm 9,22-23).

«È questo lo stile di Dio, afferma Papa Francesco. Non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci» (Papa Francesco, Angelus 7 aprile 2013).

Articolo pubblicato il 28/08/2016

 


 

26 luglio 2016. FINIRÀ QUESTO DOLORE?

Se lo chiede, dopo l’attentato a Rouen, Antonio Diella Presidente dell’Unitalsi

Finirà questo dolore? Finirà questa angoscia? Finirà il timore di accendere la tv e di ascoltare di nuovi attacchi terroristici? Finirà questa nostra tristezza? Ce lo chiediamo tutti. Me lo chiedo anche io.

Vogliamo vivere, vogliamo poter sorridere, vogliamo poter salire su un autobus e non guardare con sospetto il giovane con la barba nera che siede accanto a noi.

Vogliamo andare in giro, perché vogliamo vivere serenamente.

Dobbiamo, non per obbligo giornalistico e perché ce lo dicono i soliti intellettuali e i soliti rappresentanti dei soliti governi: perché siamo fatti per la felicità e la serenità ed è insopportabile riempire la nostra vita di sangue e di morte. E per farlo, dobbiamo essere semplicemente noi, ordinariamente coraggiosi, affezionati alle strade che percorriamo, alla nostra voglia di spostarci, al nostro desiderio di poter andare altrove, a vivere la libertà della speranza.

Che senso ha assaltare una piccola chiesa, durante la S. Messa, del mattino mentre un anziano prete, due suore e due fedeli pregavano il Signore della pace? Una piccola chiesa scelta proprio perché si possono controllare efficacemente le grandi chiese e i grandi santuari ma non si possono difendere anche le piccole chiese di periferia e di quartiere. Le chiese come quelle delle nostre parrocchie.

Che hanno pensato Padre Jaques Hamel a Saint-Etienne-du Rouvray, in Normandia, l’anziano parroco francese, e il suo parrocchiano, poveri innocenti, mentre venivano accoltellati senza motivo ? Non lo so. Credo che abbiano avuto paura. Credo che abbiano sentito lo sgomento di chi non può difendersi di fronte alla violenta di assassini che attribuiscono a Dio il loro progetto di morte. Penso con tenerezza ed emozione che si siano affidati al Dio della Pace e dei Martiri.

Come difendersi da questa follia, da chi vorrebbe vederci succubi della loro violenza, da chi ora ha attaccato direttamente anche una Chiesa cattolica dopo aver attaccato altre comunità ?

Potrebbe succedere ovunque, anche nei nostri piccoli paesi, nelle nostre città.

Spero che i tanti vecchi e nuovi intellettuali ed esperti ci risparmino adesso le loro elucubrazioni sulla “identità cristiana che sta sparendo perché ci sono troppi musulmani in Italia e in Europa”: la nostra identità cristiana è in difficoltà non perché ci sono troppi musulmani, ma perché ci sono pochi cristiani veri, testimoni credibili, capaci di vivere la loro vita secondo la loro fede. Comodo gridare contro qualcuno e vivere normalmente come se il Signore Gesù non riguardasse la mia vita personale e pubblica.

Quindi niente chiacchiere, per favore, per avere visibilità o per sperimentare notorietà.

Dobbiamo vivere e continuare a essere vivi, non solo a respirare; dobbiamo rifiutare la logica per cui se restiamo in casa, se non ci muoviamo, se evitiamo feste, ferie, santuari siamo più al sicuro. Che vita sarebbe la nostra, chiusi in casa, isolati, impauriti ?

Guai a noi, popolo di Dio, se il timore della violenza ci ricacciasse indietro nella paura.

Guai a noi, uomini e donne di qualsiasi fede o senza alcuna fede, se ci dividessimo, ci nascondessimo, affidassimo solo alla doverosa reazione degli Stati e degli organismi di polizia la possibilità di un futuro di pace.

Insieme. Dobbiamo stare insieme. Dobbiamo amare insieme e di più. Dobbiamo camminare insieme.

Guardare in tv i nostri giovani a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù deve continuare a riempirci il cuore di speranza. Non nascondiamoci. Non rinunciamo a seguire il nostro cuore che vuole mettersi in cammino. Non abbandoniamo la Francia, la Germania, i tanti popoli che soffrono per questa violenza che vuole incendiare il mondo per poter buttare tra le fiamme ogni possibilità di dialogo e di amore. In piedi, amici miei!

Con le lacrime agli occhi e la tristezza nel cuore. Tenendoci per mano, camminando insieme, senza rinunciare. Perché non si può rinunciare alla vita, se vogliamo vivere davvero. Perché questo è necessario, perché questo dolore finisca.

 Articolo pubblicato il 31/07/2016

 


 

Laura: un simbolo d’amore per la festa della mamma

da Zenit.org

Ha fatto giusto in tempo a festeggiare il quarto anniversario di matrimonio con suo marito. Il giorno dopo, la 34enne riminese Laura Grassi, è salita al cielo.

Lo scorso 22 aprile ha così lasciato una famiglia composta da suo marito Ugo e dalla figlia Alessia, di tre anni. È proprio intorno all’amore nei confronti di questa che ruota la vicenda di Laura, un vero e proprio simbolo della festa della mamma.

Una storia che fa fiorire i primi boccioli nel 2010, quando Laura e Ugo iniziano un corso di preparazione al matrimonio. Come tante coppie, anche loro si prefigurano un avvenire insieme, costellato di gioie ma anche di dolori. Forse non si sarebbero aspettati, però, di dover fare i conti molto presto con un primo grande dolore. A fine 2010 a Laura viene diagnosticata la Sclerosi laterale amiotrofica, comunemente chiamata Sla, una malattia che in genere progredisce lentamente fino a consumarti. È un fulmine a ciel sereno, che non dissuade i due giovani dall’unirsi in matrimonio. Si sposano il 21 aprile 2012.

Nemmeno un anno dopo, inaspettatamente, Laura di accorge di essere rimasta incinta. Davanti a lei e a suo marito prende forma un bivio. I medici consigliano fortemente di abortire. Ma Laura, nonostante sia cosciente dei rischi che si assume, decide di sospendere le sue cure e di portare a termine la gravidanza. L’amore per la vita che porta in grembo è più forte. 

La piccola Alessia nasce nove mesi più tardi. In una video-intervista ad Avvenire papà Ugo ha raccontato: “Quando è nata Alessia è stata una felicità enorme per tutti, in sala operatoria tra amici e
parenti eravamo quattordici persone. Fu una grande festa”.

In una recente intervista a Il Resto del Carlino Ugo racconta anche un altro momento importante vissuto dalla sua famiglia, il 16 ottobre 2013, quando hanno ricevuto la carezza di Papa Francesco durante un’udienza generale. “Ricordo molto bene quel giorno in piazza San Pietro. Francesco si avvicinò a noi, ci parlò, giocò con nostra figlia, e ci augurò di continuare così. L’abbiamo fatto, fino a quando Laura è rimasta in vita”.

Un percorso durante il quale Laura “ha combattuto contro la malattia con grande dignità”. Ugo afferma che sua moglie ha preparato lui e sua figlia Alessia al momento del distacco lasciando loro delle indicazioni per il dopo. “Anche per il funerale ha pensato lei a tutto, scegliendo le letture e facendo in modo che a tutte le sue amiche venisse regalata una rosa bianca”. Nell’omelia del funerale, a Morciano di Romagna, il vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, ha definito Laura “una vera testimone dell’amore di Dio perché nella sua semplicità ha saputo abbracciare fino in fondo la croce riconoscendo l’amore di Gesù in Lei, nei segni della sua passione”. Il vescovo ha ricordato che “chi la andava a trovare a casa rimaneva colpito e affascinato nel vedere la sua accoglienza, la sua positività: chi la visitava incontrava lei, non la malattia”. Don Marcello Zammarchi, vicerettore del seminario vescovile di Rimini che ha sposato Ugo e Laura, ha detto che “la sua vita si è conclusa con un grande grazie”. Nel suo testamento spirituale scritto con gli occhi grazie a un sintetizzatore vocale, Laura ha lasciato che queste parole penetrassero nel cuore dei suoi cari: “Vi è stato chiesto molto e mi avete dato ancora di più”.

Non ha dubbi suo marito Ugo: “Il suo più grande insegnamento che sono certo rimarrà di lei è il rispetto per il sacramento del matrimonio e per la vita”. Questa è la storia di Laura, un simbolo della festa della mamma.

Articolo pubblicato il 07/05/2016


 

Mutamenti

La mutazione in atto nella nostra società sembra minare al cuore la valenza del riposo domenicale. Oggi, alla fatica abituale di quelli che ci consentono il riposo, si unisce il fenomeno crescente dei negozi aperti, delle banche aperte, delle fabbriche aperte. Non più soltanto i servizi essenziali, ma l’obbligo, quasi, di rendere la domenica un giorno come gli altri, senza che ci si astenga dal lavoro, senza che si interrompa il circolo produttivo. Bisogna riconoscere con franchezza la responsabilità nostra di comunità circa il venir meno della scansione cristiana, liturgica, del tempo. Abbiamo lasciato che nella vita dei fedeli la domenica si riducesse al solo precetto festivo. Ovviamente non sono mancate prese di posizione forti — penso al documento su Il giorno del Signore o alle notazioni contenute nel Catechismo della Chiesa Cattolica ai nn. 1166, 1167, 2177-2188.

Articolo pubblicato il 02/04/2016


Sinodo: Esortazione "Amoris Laetitia" del Papa sarà presentata l'8 aprile

Si intitola “Amoris  laetitia” e verrà presentata venerdì 8 aprile, alle 11.30 nella Sala Stampa vaticana, l’Esortazione Apostolica post-sinodale di Papa Francesco sull’amore nella famiglia. Il documento è frutto dei due Sinodi sulla famiglia svoltisi in Vaticano nel 2014 e nel 2015. Alla presentazione interverranno il cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e i coniugi Francesco Miano e Giuseppina De Simone, lui docente di Filosofia Morale presso l'Università romana di Tor Vergata, lei docente di Filosofia presso la Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale di Napoli.

La Conferenza Stampa si potrà seguire in diretta streaming audio-video sul sito: http://player.rv.va/ (Vatican Player della Radio Vaticana), dove sarà disponibile anche in seguito on demand.

Si tratta di un documento molto atteso - anche per la lunga e complessa gestazione - con cui papa Francesco farà il punto sulla pastorale del matrimonio e della famiglia alla luce del lungo cammino sinodale, avviato nell'ottobre 2013.

Articolo pubblicato il 02/04/2016


 

38° Giornata nazionale per la vita: La Misericordia fa fiorire la vita

Dal Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 38ª Giornata Nazionale per la vita

«Chiunque si pone al servizio della persona umana realizza il sogno di Dio». «Mentre si continuano a investire notevoli energie a favore di piccoli gruppi di persone, non sembra che ci sia lo stesso impegno per milioni di famiglie che, a volte sopravvivendo alla precarietà lavorativa, continuano ad offrire una straordinaria cura dei piccoli e degli anziani».

Contagiare di misericordia «significa aiutare la nostra società a guarire da tutti gli attentati alla vita. L’elenco è impressionante: “È attentato alla vita la piaga dell’aborto. È attentato alla vita lasciar morire i nostri fratelli sui barconi nel canale di Sicilia. È attentato alla vita la morte sul lavoro perché non si rispettano le minime condizioni di sicurezza. È attentato alla vita la morte per denutrizione. È attentato alla vita il terrorismo, la guerra, la violenza; ma anche l’eutanasia. Amare la vita è sempre prendersi cura dell’altro, volere il suo bene, coltivare e rispettare la sua dignità trascendente”».

La misericordia «farà fiorire la vita: quella dei migranti respinti sui barconi o ai confini dell’Europa, la vita dei bimbi costretti a fare i soldati, la vita delle persone anziane escluse dal focolare domestico e abbandonate negli ospizi, la vita di chi viene sfruttato da padroni senza scrupoli, la vita di chi non vede riconosciuto il suo diritto a nascere», perché, come ha detto Papa Francesco, «Siamo noi il sogno di Dio che, da vero innamorato, vuole cambiare la nostra vita».

Articolo pubblicato il 31/01/2016


 


 

Vescovi italiani schierati per difendere la famiglia

Il card. Bagnasco, presidente della Cei, nel corso di una conferenza alla Cattedrale di San Lorenzo, a Genova, ha ribadito la linea della Chiesa italiana in merito al tema della famiglia

 “Noi tutti sappiamo che i nostri vescovi italiani, tutti, insieme al loro Presidente ed al Segretario generale, sono uniti e compatti nel difendere, promuovere e sostenere il patrimonio universale irripetibile che è la famiglia che è il luogo e il grembo della vita, la prima scuola di umanità, di relazioni, di dialogo”. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, al termine dell’incontro che si è svolto ieri sera nella Cattedrale di San Lorenzo dal titolo “Educare i figli con mamma e papà”. Il presidente della Cei ha dunque ribadito: “Siamo profondamente uniti, insieme a tutto il popolo di Dio, per prenderci cura sempre più e sempre meglio” della famiglia.

Tra i relatori della conferenza, Massimo Gandolfini, direttore del Dipartimento di neuroscienze della Fondazione Poliambulanza e presidente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, ed Assuntina Morresi, componente del Comitato Nazionale di Bioetica. Quest’ultima, parlando di “rivoluzione antropologica” in atto, ha fornito la seguente riflessione: “Fino a pochi anni fa si era genitori per sempre. Attualmente si può divorziare dalla moglie o dal marito ma nessuno avrebbe mai potuto dire: ‘Non sei più mio figlio’. Invece oggi, con la maternità surrogata, ci si aprono davanti nuovi scenari perché se tende a scomparire il legame fisico – non si è più genitori perché si è generato ma per contratto – chi ha detto che questo contratto debba essere stipulato solo da due persone e non da più persone? E se si volesse sciogliere il contratto?”.

“Siamo arrivati al paradosso – ha spiegato la Morresi -: mentre la legge vieta il traffico di neonati e di bambini, ossia la vendita di bambini generati in modo naturale dietro compenso”, le nuove tendenze legislative già attive in molti Paesi permettono invece “la compravendita di bambini nati, in seguito ad un contratto, tramite la fecondazione in vitro”.

Articolo pubblicato il 24/01/2016


Sabato 30 gennaio 2016 - FAMILY DAY - ROMA, Circo Massimo, ore 12. Affrettatevi a prenotare il preno o il pullman ...posti in esaurimento.


 

Il nostro Vescovo Luciano Monari sulle unioni civili: Avanti o indietro?

Editoriale del n° 2 "La Voce del Popolo", settimanale diocesano

Quando ci si sposa, ci si scambiano una serie di diritti e di doveri. Questo è chiarissimo nella celebrazione religiosa: “Io accolgo te come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Pronunciando queste parole, una persona si assume una serie illimitata di doveri che acquisteranno una figura precisa nel corso della vita matrimoniale, man mano che le circostanze metteranno le persone davanti alla gioia o al dolore, alla salute o alla malattia… Nello stesso tempo, poiché la medesima formula viene pronunciata anche dall’altra persona, ciascuno riceve il dono (il diritto) dell’impegno dell’altro. Siamo quindi davanti a una esperienza di reciprocità. Ciò significa che accanto all’esistenza delle due singole persone (l’io e il tu) prende corpo una formazione nuova (il noi) nella quale l’esistenza delle due persone si intreccia e viene a costituire una forma nuova che non è solo l’accostamento di due vite (a, b) o la loro somma (a+b) ma qualcosa di inedito (ab).

Il figlio, quando nasce, ne è l’espressione più chiara perché il suo patrimonio genetico, pur provenendo dal padre e dalla madre, è del tutto originale. Quando si chiede il riconoscimento civile dell’unione di fatto, ciò che è in gioco sono essenzialmente dei diritti. La coppia di fatto chiede allo stato di riconoscerle un certo numero di vantaggi che fino ad oggi erano riservati alla famiglia: reversibilità della pensione, diritto all’eredità, diritto ad adottare dei bambini... A questi diritti non corrispondono dei doveri codificati; ciascun componente della coppia può lasciare il partner solo che lo desideri senza dover giustificare la sua scelta perché non ha assunto dei doveri nei confronti della collettività. La convivenza rimane solamente un “fatto”, non diventa un valore sociale. Questa modalità di rapporto è notevolmente più moderna del matrimonio e risponde meglio al modello attuale di produzione. Proprio perché i vincoli di coppia sono meno rigidi che in una famiglia, la disponibilità alle esigenze del lavoro è più grande. Un passo avanti, quindi? Temo di no.

La società civile è chiamata a garantire ai suoi componenti il maggior numero di opportunità concrete di realizzazione di sé. Ma la società nasce solo quando i singoli rinunciano ad alcuni spazi di realizzazione personale e permettono, in questo modo, la creazione di uno spazio comune di vita nel quale ‘si gioca’ con regole comuni. Solo così nascono un’economia avanzata, il commercio, la scuola. Il riconoscimento legale delle unioni civili va in direzione opposta rispetto alla creazione di una società più coesa e sicura. Probabilmente produrremo di più ma saremo più insicuri, più soli, meno capaci di sacrificarci per il bene di tutti. Abbiamo creato una società frammentata, fatta di una molteplicità di “io” separati; poi la frammentazione è diventata così profonda che si può parlare di una società liquida; se continuiamo nella stessa direzione la prossima tappa sarà una società gassosa; o no?

Articolo pubblicato il 17/01/2016