QUALE PROGETTO ARCHITETTONICO?

Ipotesi di intervento.

Per una completezza del lavoro svolto abbiamo preferito allegare in questa relazione generale anche precedenti scritti e i grafici delle ipotesi di progetto di nuove configurazioni per la pavimentazione che allo stato attuale non risultano più necessarie e quindi non sono oggetto di intervento.

PRIMA BOZZA DI RELAZIONE LUGLIO 2013

Perché ancora la storia?

E le tavole del tesoro nascosto.

Uno studio che vuole intraprendere e formulare un’ipotesi di restauro per la Parrocchia di San Giorgio a Capriolo, deve necessariamente confrontarsi con una storia di lungo periodo.

Ripercorrere e riordinare la stratificazione storica ha impegnato gran parte del lavoro svolto fino ad oggi, questo è stato necessario per ritrovare il senso della storia, poiché la cultura storica ha il fine di serbare viva la conoscenza che la società umana ha del proprio passato, cioè del suo presente, cioè di se stessa.

Il confronto con la storia non può mai essere considerato un antefatto sul quale conviene sorvolare.

Ripercorrere la storia della Parrocchiale non significa solo storicizzare la devozione della comunità cristiana di Capriolo, ma una sorta di antropologia culturale che comprende la conoscenza della storia di tutti gli uomini, che qui, in ogni capriolese, acquista forma e sostanza.

La nostra Parrocchiale ci racconta “mille anni al mondo”, da quando era campo santo ai piedi del colle, nella contrada in fondo al paese, di lacrime versate per i cari colpiti dalla peste, raccolti intorno a San Rocco, concerti di preghiere per chiedere la fine di alcuni periodi di carestie e pestilenze, di guerre infinite, preghiere per migliaia di morti identiche, dove ognuna porta in sé la prigione irripetibile, segreta: che la morte è certezza, è fede di “altra” vita; preghiere per chiedere nuovi inizi, speranze di nuove vite, poiché in ogni periodo sperare è il modo più alto di vivere.

Nuovi inizi e nuove riforme, che comportano nuovi rifacimenti, come nel caso di San Carlo Borromeo, nel rifacimento del 1674-’78, o due secoli dopo con il rifacimento dell’architetto Carlo Melchiotti (1892-’93), la costruzione del tamburo ottagonale della cupola ad opera di Agostino Caravatti nel 1905-’12, solo un secolo scorso. La storia della chiesa ci racconta anche la storia di un edificio che in ogni periodo ha saputo continuamente di secolo in secolo ricostruirsi, autogenerarsi a seconda delle esigenze e nuove trasformazioni della comunità.

Un edificio che durante le nuove trasformazioni, oltre a garantire ogni volta le funzioni di nuovo tempio cristiano era anche in grado di garantire la custodia e la protezione dei tesori della comunità capriolese, i capolavori generati dagli artisti nei vari secoli, raccogliendo in questo grande scrigno anche le opere provenienti da altri edifici religiosi della comunità capriolese. E’ il caso dell’opera scultorea della Madonna in trono, proveniente dall’antica chiesa di San Rocco, che verrà successivamente adornata e incorniciata dalla fastosissima soasa di Andrea Fantoni, 1724 -’27, e dagli intagli marmorei eseguiti da Giovanni Battista Corbellini, dando luogo a un complesso che verrà giustamente definito tra i più belli e maestosi della provincia. E’ il caso della pala dell’Assunta, opera di Antonio Gandino il vecchio, 1615, proveniente dalla chiesa della Beata Vergine o chiesa dell’Assunta, soppressa nel 1950 e alienata nel 1968. E a queste due opere aggiungiamo altri due capolavori assoluti: la Pala della Resurrezione, opera di Gerolamo Romanino, 1525, e il Martirio di san Gervasio e Protasio, opera di Callisto Piazza, 1524.

Vi sono inoltre tre opere che più di altre evocano immediatamente quello “stupore” che dovevano causare nella devozione popolare, come la statua del Cristo morto sempre ideata da Andrea Fantoni, 1729, che in occasioni particolari di bisogno e di massimo pericolo veniva portata in processione.

La pala di san Giorgio, l’opera di Lodovico Gallina, 1782, ci narra come nel racconto di una fiaba antica di una lotta tra il bene e il male e dell’immenso stupore che l’immagine avrà generato dalla fine del Settecento, per tutto l’Ottocento, forse fino alla metà del secolo scorso nei bimbi capriolesi davanti alla figurazione, alla tensione tra il cavallo bianco imbizzarrito e il drago, la stessa che colpisce mia figlia oggi, che sottovoce mi sussurra: “ma papà è finto?”

Infine, lasciando la chiesa sfioriamo la Madonna del rosario, oggi come accostata in disparte, appoggiata in uno degli altari laterali; mentre la sua figura evoca ancora il ruolo vivo e popolare del trasporto processionale.

Mentre usciamo qualcuno suona l’organo e le figure fantoniane sembrano unirsi alla musica, poi anche tutti gli altri capolavori si uniscono partecipando insieme ad un concerto polifonico.

Viene da chiedersi quale sia stata la funzione di questi artisti.

Ogni artista agisce con profonda originalità pur essendo costretto a inserirsi nella storia, quando non sia un pedissequo imitatore da’ nuova linfa e quando è una limpida mente rinnova la storia stessa profondamente, come a Capriolo hanno fatto: l’anonimo esecutore della scultura della Madonna in trono , Callisto Piazza (1524 ), Gerolamo Romanino (1525), Gandino il vecchio (1615) , Andrea Fantoni (1724 – ’27) con il Corbellini (1725), Lodovico Gallina (1782).

Tutti questi assoluti capolavori rappresentano anche i materiali che la storia ci fornisce, ci trasmette in termini di conoscenza empirica, significato estetico e morale dei fenomeni, conservazione dell’identità e tradizione, con cui una civiltà costruisce un ponte tra passato e futuro. Quelli come noi, che agiscono nel tempo presente, in qualsiasi disciplina, hanno l’obbligo etico di servirsi della storia per garantire che questa costruzione possa proseguire.

Da questo punto di vista questi assoluti capolavori uniti alla Parrocchiale costituiscono anche un’eredità di lungo periodo e ciò che abbiamo ereditato dai padri va riconquistato se si vuole possedere davvero, poiché l’eredità richiede un esercizio di responsabilità.

Oltre alla funzione istituzionale del tempio, di Chiesa Cristiana, come luogo di ritrovo, di preghiera e di celebrazione della comunità di fedeli; la Chiesa è anche la più grande Pinacoteca e il più grande museo della città, inteso come scuola futura. È evidente che la storia nella sua stratificazione non ci ha restituito solo capolavori assoluti; la frantumazione architettonica e culturale avvenuta nel dopoguerra, nel secolo scorso, non ha risparmiato la nostra parrocchiale, la campionatura di materiali che ha invaso le nostre dimore, non ha risparmiato la sacralità del tempio, così il granito lucido, rosa sardo, decontestualizzato è diventato il basamento improprio di tutti i capolavori e dei magnifici altari in Bronzetto e Botticino presenti nella chiesa: il granito sardo nella chiesa di Capriolo “è come una pagina del Decamerone rilegata per sbaglio nel Vangelo secondo Matteo”.

La Chiesa di Capriolo meritava come pavimentazione un epifania di materiali diversi; magari simili al pavimento della chiesa di san Nazario e Celso, a Brescia, che contiene quel meraviglioso polittico del Tiziano, riferimento della nostra pala del Cristo Risorto del Romanino.

Così, i tre gradini che salgono al presbiterio, invocando la prua di una imbarcazione hanno rotto con la tradizione, creando una rottura epocale con la storia. Da questo punto di vista il progetto si prefigura anche come ricucitura con il passato, avanzando una serie di proposte diversificate tra loro.

Dove la soluzione ideale cerca di riproporre quella luminosità data alla chiesa con l'edificazione ad opera dell'architetto Agostino Caravatti; con un grande progetto unitario unendo la parte architettonica a quella decorativa, ricercando un'armonia totale chiedendo soccorso agli affreschi di quell' Umberto Marigliani soprannominato “il Tiepolino”, che con ogni probabilità coordinò in quel tempo anche le decorazioni eseguite da Luigi Locatelli.