26 luglio 2016. FINIRÀ QUESTO DOLORE?

Se lo chiede, dopo l’attentato a Rouen, Antonio Diella Presidente dell’Unitalsi

Finirà questo dolore? Finirà questa angoscia? Finirà il timore di accendere la tv e di ascoltare di nuovi attacchi terroristici? Finirà questa nostra tristezza? Ce lo chiediamo tutti. Me lo chiedo anche io.

Vogliamo vivere, vogliamo poter sorridere, vogliamo poter salire su un autobus e non guardare con sospetto il giovane con la barba nera che siede accanto a noi.

Vogliamo andare in giro, perché vogliamo vivere serenamente.

Dobbiamo, non per obbligo giornalistico e perché ce lo dicono i soliti intellettuali e i soliti rappresentanti dei soliti governi: perché siamo fatti per la felicità e la serenità ed è insopportabile riempire la nostra vita di sangue e di morte. E per farlo, dobbiamo essere semplicemente noi, ordinariamente coraggiosi, affezionati alle strade che percorriamo, alla nostra voglia di spostarci, al nostro desiderio di poter andare altrove, a vivere la libertà della speranza.

Che senso ha assaltare una piccola chiesa, durante la S. Messa, del mattino mentre un anziano prete, due suore e due fedeli pregavano il Signore della pace? Una piccola chiesa scelta proprio perché si possono controllare efficacemente le grandi chiese e i grandi santuari ma non si possono difendere anche le piccole chiese di periferia e di quartiere. Le chiese come quelle delle nostre parrocchie.

Che hanno pensato Padre Jaques Hamel a Saint-Etienne-du Rouvray, in Normandia, l’anziano parroco francese, e il suo parrocchiano, poveri innocenti, mentre venivano accoltellati senza motivo ? Non lo so. Credo che abbiano avuto paura. Credo che abbiano sentito lo sgomento di chi non può difendersi di fronte alla violenta di assassini che attribuiscono a Dio il loro progetto di morte. Penso con tenerezza ed emozione che si siano affidati al Dio della Pace e dei Martiri.

Come difendersi da questa follia, da chi vorrebbe vederci succubi della loro violenza, da chi ora ha attaccato direttamente anche una Chiesa cattolica dopo aver attaccato altre comunità ?

Potrebbe succedere ovunque, anche nei nostri piccoli paesi, nelle nostre città.

Spero che i tanti vecchi e nuovi intellettuali ed esperti ci risparmino adesso le loro elucubrazioni sulla “identità cristiana che sta sparendo perché ci sono troppi musulmani in Italia e in Europa”: la nostra identità cristiana è in difficoltà non perché ci sono troppi musulmani, ma perché ci sono pochi cristiani veri, testimoni credibili, capaci di vivere la loro vita secondo la loro fede. Comodo gridare contro qualcuno e vivere normalmente come se il Signore Gesù non riguardasse la mia vita personale e pubblica.

Quindi niente chiacchiere, per favore, per avere visibilità o per sperimentare notorietà.

Dobbiamo vivere e continuare a essere vivi, non solo a respirare; dobbiamo rifiutare la logica per cui se restiamo in casa, se non ci muoviamo, se evitiamo feste, ferie, santuari siamo più al sicuro. Che vita sarebbe la nostra, chiusi in casa, isolati, impauriti ?

Guai a noi, popolo di Dio, se il timore della violenza ci ricacciasse indietro nella paura.

Guai a noi, uomini e donne di qualsiasi fede o senza alcuna fede, se ci dividessimo, ci nascondessimo, affidassimo solo alla doverosa reazione degli Stati e degli organismi di polizia la possibilità di un futuro di pace.

Insieme. Dobbiamo stare insieme. Dobbiamo amare insieme e di più. Dobbiamo camminare insieme.

Guardare in tv i nostri giovani a Cracovia per la Giornata Mondiale della Gioventù deve continuare a riempirci il cuore di speranza. Non nascondiamoci. Non rinunciamo a seguire il nostro cuore che vuole mettersi in cammino. Non abbandoniamo la Francia, la Germania, i tanti popoli che soffrono per questa violenza che vuole incendiare il mondo per poter buttare tra le fiamme ogni possibilità di dialogo e di amore. In piedi, amici miei!

Con le lacrime agli occhi e la tristezza nel cuore. Tenendoci per mano, camminando insieme, senza rinunciare. Perché non si può rinunciare alla vita, se vogliamo vivere davvero. Perché questo è necessario, perché questo dolore finisca.

 Articolo pubblicato il 31/07/2016